TANTI STRANIERI E POCHI GIOVANI: PER QUESTO LA SERIE A È IN CRISI?

01.05.2013 12:23

 

La Serie A non parla italiano e non crede nei propri giovani: è questo il sunto dell’impietosa analisi del CIES (Centro Internazionale di Studi sullo Sport) sulla presenza di stranieri e giocatori dei settori giovanili nei massimi campionati europei.

Secondo i dati dell’indagine, pubblicati sul numero di marzo/aprile del Magazine ufficiale della FIFA, in ogni squadra europea circa un giocatore su tre è straniero, e soltanto uno su cinque proviene dal vivaio. Ma questa è la media: a guardare i numeri dell’Italia, la situazione peggiora drasticamente:siamo quinti nelle presenze di non-italiani (che sono più del 50% dei tesserati della Serie A) ed ultimi in quelle di giocatori cresciuti nelle società (sotto il 10%). La nostra posizione, tuttavia, non tiene conto di alcuni importanti fattori, soprattutto nella prima graduatoria: in quel caso, come fa notare in un’intervista a Repubblica Leonardo Grosso, presidente del sindacato mondiale dei calciatori, le nazioni che ci precedono (Cipro, Inghilterra, Portogallo e Belgio) hanno molti fattori internazionalizzanti. Se consideriamo gli isolani, bisogna pensare che, vista la popolazione totale, sarebbe come fare un campionato nella sola Napoli; inoltre, Cipro è il transito verso l’Europa dei giocatori africani. Transito è anche il Portogallo, ponte fra il Brasile e il vecchio continente, mentre il Belgio ha un’internazionalità congenita, vista la posizione ed il valore politico. In Inghilterra, invece, sono considerati stranieri anche scozzesi, gallesi e irlandesi – ed è tutto dire.

Per dare un’idea della situazione, basta controllare come le squadre che occupano le prime posizioni in Serie A (Juventus, Napoli e Milan) hanno utilizzato i giocatori del proprio vivaio in questa stagione. I bianconeri ne hanno impiegati cinque: di questi, quelli con più presenze sono Giovinco (27) e Marchisio (24), seguiti da De Ceglie (12) e Marrone (8); solo uno spezzone di partita, invece, per il gioiellino della Primavera Beltrame (che, ricordiamo, è un ’93). A Napoli è capitano Paolo Cannavaro (28 presenze), prodotto delle giovanili pre-fallimento; il gioiellino Lorenzo Insigne (classe ’91) ha timbrato il cartellino 34 volte (assieme ad Hamsik, il più presente), mentre a suo fratello Roberto (un ’94) Mazzarri non ha concesso più dell’esordio. Nel Milan, infine, il giovane De Sciglio (’92) è ormai titolare inamovibile, con 25 presenze all’attivo, mentre Abate e Antonini ne hanno rispettivamente 24 e 6 (entrambi, però, sono tornati a Milano dopo un lungo periodo di prestiti in tutta Italia). Parliamo, in totale, di undici giocatori provenienti dalle giovanili: uno in meno di quelli schierati, in totale, nella semifinale di Champions fra Bayern Monaco e Barcellona.

Si sa benissimo che il campionato dello stivale ha preso una brutta piega, e che uno dei fattori della crisi è il mancato utilizzo dei giovani. Ora, però, anche i numeri cominciano ad urlare: è il caso di fermarsi, e ragionare seriamente sul futuro. La Federazione deve dare al nostro calcio le risposte che s’aspetta: c’è bisogno di una riforma indirizzata a risolvere questa situazione, che sia un’apertura alle Squadre B o una modifica del Campionato Primavera (dispersivo e poco formativo).
In Europa continuano a dominare squadre che hanno costruito le proprie fortune su importanti investimenti volti all’interno, alla propria società, alla valorizzazione dei ragazzini: sarà un caso?